Biotecnologa e Line Manager nel Regulatory Affairs prima; consulente di carriera e Life skills coach oggi. Lorenza ci offre – grazie alla sua esperienza e al suo passato – una serie di risposte a tutte quelle domande che attanagliano la mente di un neolaureato di cui noi ci facciamo portavoce.

Se volessi descrivere il tuo lavoro attuale, le tue mansioni, come lo faresti? << What are you doing for a living?>>
Domanda molto difficile (ride n.d.r.), diciamo che faccio tutto quello che mi piace. Potrei dividere il mio lavoro in tre filoni:
- Quello di consulenza di carriera ai privati, ovvero, tipicamente profili di neolaureati o di neodiplomati, i quali non sanno cosa fare nella vita e il mio supporto è quello di aiutarli a trovare una strada, dove investire o dove vogliono concentrarsi. A questo si aggiunge il supporto alla carriera ai profili sopradetti o a profili senior che hanno bisogno di strumenti per imparare a gestire le relazioni professionali o per imparare delle competenze trasversali, come la negoziazione ad esempio.
- b) Poi c’è il filone della formazione. Di base faccio formazione negli ITS (Istituti Tecnici Superiori), in Accademia (Bicocca, Sapienza o Università di Novara) e/o in PEC (Pharma Education Center).
- c) Poi c’è il focus sul coaching, dove supporto le aziende nella formazione o miglioramento di un team. Questo è un aspetto del mio lavoro che adoro, tanto che la mia tesi di laurea (la seconda, in psicologia n.d.r.) era in ambito formativo aziendale grazie all’uso della gamification nello specifico il LEGO® Serious play.
Qual è stato il tuo percorso formativo?
Faccio una premessa… chi di solito si iscrive a Biotecnologie vuole salvare il mondo attraverso la ricerca, io ero una di quelle persone, ma poi, mi sono resa conto (fortunatamente abbastanza presto) che la vita in laboratorio non facesse per me. Quindi sono partita, diciamo, con un percorso abbastanza lineare, diploma e poi laurea. Dopo un Master in Marketing e Management in ambito farmaceutico e uno in Regulatory Affairs e Market Access, approdo in una grande azienda in qualità di Line Manager. Avendo molte competenze tecniche ma completamente priva di capacità manageriali, di leadership o di gestione dei budget, vengo formata attraverso percorsi di coaching capendo così quale fosse la mia strada. Proseguo la mia formazione prima con un master e poi con una laurea in psicologia. Sono una STEM con un’anima psicologica, una “PSICOBIOTECH” come dico io.
Facciamo un attimo chiarezza, tu eri un Line Manager in ambito Affari Regolatori, ci puoi spiegare il ruolo e le mansioni di questa figura?
Allora, io inizio a lavorare all’età di 24 anni, subito dopo la laurea in ambito Quality Assurance e nel frattempo mi stavo dedicando ai master che ti ho detto prima. Grazie a ciò riesco a fare application in una piccola azienda in Svizzera nel reparto regolatorio ed essendo piccola il settore era a stretto contatto con il reparto Quality. Ho potuto quindi mantenere il doppio focus, questa doppia anima. Anni dopo, trovo per un’altra azienda una posizione vacante per un posto da Line Manager. In generale, il Line Manager in Regulatory Affairs svolge un ruolo fondamentale nel mantenere la conformità normativa dello stabilimento farmaceutico, nel facilitare le registrazioni dei prodotti e nel garantire il miglioramento continuo dei processi per soddisfare i requisiti normativi in evoluzione. La posizione richiede una profonda comprensione delle linee guida normative, eccellenti doti comunicative e la capacità di lavorare efficacemente in un ambiente interfunzionale. Mi sono trovata all’età di 32 anni a dirigere un team di persone più grandi di me e con una situazione complessa perché dopo i 6 mesi di prova, il team si è sciolto e ho dovuto ricostituirlo (TRAUMA n.d.r.). Non avevo esperienza di gestione e di selezione del personale, mi sono messa a studiare e mi sono formata come ti dicevo prima.
Adesso si capisce anche di più perché hai lasciato una posizione lavorativa, comunque importante e un contratto a tempo indeterminato per lavorare come freelance. Perché dal punto di vista squisitamente economico, anche se non conta solo quello, si tratta di una decisione veramente ardua da prendere.
Allora qui vorrei introdurre un concetto a me molto caro, quello dei prezzi psicologici. Noi esseri umani siamo abituati nel dare un prezzo economico alle cose fisiche o magari ai servizi; in realtà i veri prezzi sono quelli psicologici, ovvero tutti quei ragionamenti e/o riflessioni che rispondono alla domanda: “Quanto mi costa non fare o fare questa scelta?”. Nella situazione di un manager, come era la mia, nonostante lo stipendio nel settore farmaceutico sia alto (per profili dirigenziali in Italia parliamo di cifre intorno ai 100.000 €/anno) si deve mantenere la strategia aziendale, la vision del posto in cui lavori diventa la tua e l’azienda ti chiede di rispettare tale visione e rappresentarla non solo nel tuo team ma anche all’esterno (ad esempio i social media). Tutto questo nelle persone che non sono disposte a tale “gerarchia” crea un conflitto e può scatenare una possibile crisi. Rappresentare una qualsiasi organizzazione, per me, era un prezzo che non volevo più pagare e preferivo rappresentare me stessa, così da poter affrontare solo me stessa, i miei valori e fare quello che mi piaceva. Ovviamente la contropartita è stata perdere il beneficio economico, mettermi in proprio e affrontare poi le sfide della libera professione.
Un altro problema che è venuto fuori dalla mia crisi, soprattutto nella parte dell’orientamento è stato quello di essermi discostata dal mio obbiettivo di vita che era, ed è tutt’ora, quello di aiutare le persone. Questo mio valore fondamentale, che non si discosta di molto dalla scelta del percorso di laurea in Biotecnologie, con il focus: << voglio salvare il mondo>> è in completa antitesi con qualsiasi azienda, perché, qualunque tipo di organizzazione economica – a parte le ONG- generano un bene e quindi di fatto un profitto.
Chiarissimo. Aggiungo che la questione del prezzo psicologico è veramente un ottimo spunto di riflessione poiché tante persone, soprattutto giovani, non ci pensano o magari non hanno gli strumenti per farlo in maniera corretta.
Non siamo proprio abituati a ragionare in termini di prezzi psicologici. Siamo solo abituati a ragionare in termini di prezzi economici e aggiungo anche male.
Tutte le nostre scelte hanno degli impatti psicologici, anche l’atto di scegliere. Ti faccio un esempio: << […] Non riesco a cambiare lavoro e sto male per questo, ma scelgo comunque di non cercare altrove e/o di farmi aiutare da un professionista. >> Queste sono scelte, alla base delle quali vi sono domande sul prezzo psicologico che questa persona sta pagando. Anche scegliere di non fare una determinata scelta, è una scelta e ha un suo prezzo, l’importante è esserne consapevoli.
Edited by Dott. Santarelli Leonardo
Reviewed by Dott. Ronsisvalle Michele